Leoni e canguri

[15/01/2012] Dal titolo alla storia

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  1. Rowizyx
     
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    Fandom: Lady Oscar
    Rating: Per tutti
    Personaggi/Pairing: Oscar, Marguerite, André
    Tipologia: One-Shot
    Lunghezza: 3635 parole, 6 pagine
    Avvertimenti: nessuno
    Spoiler! nessuno
    Genere: Introspettivo, Commedia, Generale
    Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Ryoko Ikeda che ne detiene/detengono tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Lady Oscar, appartengono solo a me.
    Credits: nessuno
    Note dell'Autore: Dunque, vi starete chiedendo come ho fatto a scrivere una fanfiction su Lady Oscar che riguardasse i canguri. No, non ho mandato la nostra eroina in Australia! XD Ho cercato un po' e ho scoperto che il primo canguro visto in Europa fu un esemplare portato da Cook in Inghilterra nel 1770. Ho giocato dunque di fantasia immaginando che circa una quindicina di anni dopo fosse possibile che ne avessero già riportato una coppia "vivi" per la curiosità del Re, è una piccola licenza che mi sono voluta prendere perché metterci un canguro impagliato mi metteva un po' tristezza. E... niente, la storia si rifà alla versione dell'anime, in particolare agli episodi 30 e 32 (e al 28 e al 31, un pochino). Il nome di Marie Anne l'ho recuperato tramite Santa Wikipedia. ^^
    Introduzione alla Fan's Fiction: Dopo aver disobbedito al padre riguardo al ballo in suo onore, Oscar si trova a ripensare alla sua vita e alle cose a cui la sua educazione maschile le ha fatto rinunciare. Inaspettatamente, un colloquio con sua madre inizia a farle vedere le cose in maniera differente.





    Sposarsi. Avere dei figli.
    Da giorni ormai Oscar non riusciva a togliersi quelle parole dalla mente. Perché suo padre improvvisamente desiderava che si comportasse come una donna? Non poteva certo mandare indietro il tempo, tornare ai suoi quindici anni e darla in sposa al miglior partito com’era accaduto a ognuna delle sue sorelle!
    La donna si rigirò nel letto, cercando di scacciare quei pensieri. Soffriva di un mal di testa atroce… La sera prima aveva fatto la sua comparsa al ballo del generale Bouillé, come suo padre le aveva chiesto, e una volta tornata a casa si era servita una dose troppo abbondante di cognac. Cosa che le capitava sempre più spesso, ormai.
    Nonostante l’emicrania, Oscar si tirò su dal letto, si sciacquò il viso e indossò una camicia pulita, prima di cercare la giacca dell’uniforme, che aveva lasciato cadere per terra senza cura la sera precedente. Doveva muoversi, aveva l’ispezione mattutina da fare e la rassegna dei soldati… Ma questo non le avrebbe impedito di godersi una delle magnifiche colazioni preparate dalla nonna di André. Evitò accuratamente la stanza da letto di suo padre, che di certo stava ancora riposando per la brutta ferita ricevuta, per non sentire la sua ramanzina a proposito della sua pessima condotta al ballo, scese le scale e s’indirizzò verso la sala da pranzo.
    Alla sua colazione solitaria, però, si aggiunse una gradita sorpresa: «Madre! Voi qui?»
    La donna sorrise amabilmente, seduta a tavola composta ed elegante. Indossava uno splendido abito con una fantasia floreale, dai colori vivi come andavano di moda alla reggia ma più discreto dei modelli che prediligeva Maria Antonietta, più adatto alla sua età. I suoi capelli erano ancora dorati e magnifici, il suo viso sereno: nulla tradiva la salute cagionevole di cui soffriva. Quando Oscar era entrata, stava leggendo una lettera, da cui aveva distolto lo sguardo per concentrarsi sulla figlia.
    «È ancora presto per recarmi a palazzo, Oscar, e la regina si alza sempre più tardi, per cui posso godermi una cioccolata calda con tutta calma, prima di recarmi a Versailles. Tu, piuttosto, non hai i tuoi doveri in caserma che ti attendono?»
    Oscar si accomodò di fronte a lei e si servì dei fragranti dolcetti e biscotti sfornati da Nanny.
    «Anch’io ho tempo, sebbene mi sia svegliata tardi… La festa del generale Bouillé», disse per scusarsi.
    Marguerite scosse il capo, senza lasciarsi ingannare da quella mezza bugia. «Strano, ho saputo che al ballo sei a malapena comparsa, e in uniforme, per di più».
    La sorpresa della figlia fu ben nascosta, se ce ne fu: osservò il volto di Oscar, le sue movenze compassate, così diverse rispetto a quando era a capo del suo plotone… Probabilmente aveva immaginato che il generale riportasse a suo padre il comportamento poco appropriato che aveva tenuto alla festa, ma non si aspettava che sarebbe stata lei a parlargliene. A dire il vero, anche lei si era stupita che suo marito non avesse voluto affrontare la figlia ribelle, anzi, l’accettazione da parte sua che Oscar non avesse intenzione di sposarsi l’aveva piacevolmente impressionata.
    «Mio padre ha detto qualcosa a riguardo?», domandò alla fine alla madre, che stava imburrando una fetta di pane.
    Sebbene fosse sua moglie, Marguerite non aveva il diritto di riportare le parole di Rénier, né di rendere partecipe Oscar della sua commovente reazione della sera precedente. «Sarà lui a comunicarti cosa pensa di questa faccenda, se lo riterrà opportuno», rispose saggiando le parole. «Ad ogni modo, non credo si organizzeranno altri balli in tuo onore tanto presto».
    La figlia annuì, sollevata e allo stesso tempo colpita dalla frase pronunciata da sua madre, così simile a quella che lei aveva rivolto ad André la sera precedente prima del ballo.
    «Mi dispiace se l’ho deluso, ma non mi ritengo per nulla adatta al matrimonio», tentò di scusarsi Oscar. «Ho passato quindici anni a comandare e impartire ordini a uomini anche più maturi e con esperienza di me, non sarei capace di stare al mio posto come si aspetterebbe un marito. Inoltre, mio padre ora parla di tutte le cose e i piaceri della vita di una ragazza che mi sono persa, ma io non conosco tutto ciò, né lo rimpiango. Sono felice della mia esistenza, anche se lui non sembra credermi».
    Il carattere del generale Jarjayes era davvero ostinato, purtroppo, sospirò Marguerite: alla nascita della loro ultima figlia, aveva deciso che sarebbe stato un bene per lei crescere con un’educazione maschile e assumere le cariche militari degne dell’erede del casato Jarjayes. Adesso che metteva in dubbio quella certezza, Rénier aveva stabilito che sarebbe stato perfetto per lei indossare improvvisamente un bustino e un abito da ballo, chiacchierare di frivolezze e preoccuparsi solo di trovare un buon partito… Al massimo di fantasticare sulla casa che avrebbe dovuto amministrare dopo le nozze.
    Oscar sentì il bisogno di cambiare argomento, nonostante il problema del matrimonio fosse ormai risolto. «Ma vi ho disturbato nella lettura, madre. Vi prego, non badate a me, se si tratta di questioni importanti».
    Marguerite riprese tra le mani i fogli della lettera, sorridendo. «Nulla di grave, per fortuna: Marie Anne, suo marito e i bambini sono in viaggio a Londra, con il clima che c’è a Parigi di questi tempi. Volevano svagarsi un po’ e allontanare i ragazzi dai tafferugli e dalle preoccupazioni, come non comprenderli?»
    Sarebbe meglio se mio cognato si assumesse le sue responsabilità e concedesse condizioni più umane ai suoi fittavoli, pensò la figlia, senza però esprimere la sua opinione in merito. Era tanto che non aveva notizie delle sue sorelle maggiori, con il suo lavoro e la lontananza era difficile mantenere i contatti.
    «Londra dev’essere una città piacevole, nonostante la pioggia», commentò piuttosto, «mi auguro che si divertano».
    La cioccolata di Nanny era davvero insuperabile, si disse Oscar. Le mancava sempre qual sapore intenso e speziato di cannella, quando si fermava in caserma. Era un gusto che sapeva di casa.
    «Oh sì, mi scrive che sono andati al museo di storia naturale, a vedere le ultime scoperte del viaggio del signor Cook», rispose Marguerite, cercando nelle righe vergate in una calligrafia elegante dalla figlia il punto esatto in cui si parlava di quella gita.
    «Quell’esploratore inglese che ha reclamato il nuovissimo continente per Giorgio III?», domandò Oscar, ora sinceramente incuriosita. Aveva letto del signor Cook più volte e sapeva che in quella terra, l’Australia, aveva scoperto incredibili piante e specie animali, mai viste prima sul pianeta. Per ora solo i naturalisti inglesi avevano scritto di quelle meraviglie, e i colleghi nella sua madrepatria sembravano molto scettici a certe notizie pubblicate dai rivali, ma sembrava incredibile che in quell’angolo sperduto nel mondo la natura si fosse evoluta in maniera unica e originale.
    «Esattamente, pare che il re abbia permesso ai suoi sudditi e ai visitatori di ammirare la coppia di kangaroo – così scrive tua sorella, non so se la mia pronuncia è corretta – che Cook gli portò dal suo secondo viaggio».
    Canguri. Di certo i suoi nipoti si erano divertiti un mondo a vedere quelle strane creature. Dalle illustrazioni che Oscar aveva visto, erano alte e con zampe posteriori lunghissime, che usavano insieme alla grande coda per spostarsi con ampi balzi.
    L’altra donna si mise a leggere ad alta voce: «Sono animali così bizzarri, madre, sapessi! Non ho mai visto nulla del genere. Mi sono sentita emozionata quanto i miei bambini, anche se Antoine sembrava imbarazzato dal mio comportamento. Pensa, le femmine hanno una sorta di tasca davanti a loro, come se indossassero uno dei grandi grembiuli di Nanny, in cui crescono i loro piccoli fino a quando essi non sono pronti per cavarsela da soli. Non è straordinario, madre? Sarebbe così bello proteggere anche i miei figli in questo modo, senza mai lasciarli andare…»
    Marie Anne era da sempre dotata di una fervida immaginazione e di un forte sentimentalismo, per cui Oscar non si sorprese dell’ultimo commento che aveva mandato alla madre, tuttavia in qualche modo esso riuscì a disturbarla. In qualche modo, il tema della maternità sembrava tormentarla in quei giorni.
    Marguerite piegò la lettera e la mise da parte. «Non avevo dubbi che Marie Anne sarebbe diventata una madre un po’ ansiosa, sai: anche quando eravate ancora tutte qui, era sempre quella che si preoccupava per voi più piccole, come se temesse che potesse capitarvi qualcosa di male», ricordò con una certa nostalgia nella voce, rivivendo i tempi in cui le sue figlie giocavano nel giardino del loro palazzo senza troppi problemi davanti a loro. «Questi di cui parla sembrano animali molto interessanti».
    «Non saprei, madre», rispose con cortesia Oscar, davvero senza parole. Era stata colpita dal vigore di quelle creature e dagli scritti in cui si raccontava dei loro salti, ma non aveva mai sentito di quell’abitudine delle femmine nei confronti dei piccoli.
    «Capisco i suoi sentimenti: quando i nostri cuccioli sono ancora giovani e indifesi, è difficile lasciare che si feriscano o soffrano. Se potessimo, terremmo i nostri bambini sempre stretti alle nostre gonne», commentò ridendo Marguerite. Lei poi, aveva visto il suo ventre crescere e prepararsi a una nuova nascita per ben sei volte, aveva atteso a ogni gravidanza il grande momento, augurandosi di riuscire a dare a suo marito il tanto desiderato maschietto, cantando alle sue bambine non ancora venute al mondo. Si dispiaceva di non essere stata lei a crescere personalmente le figlie, sebbene fosse costume normale presso le famiglie nobili, perché sentiva di conoscere ben poco di loro: della sua cucciolata, cinque erano andate in sposa a ottimi pretendenti intorno ai quindici anni, mentre Oscar… Oscar era un vero mistero.
    Dall’altra parte del tavolo, il comandante osservava sua madre con attenzione, riflettendo sulle ultime parole che aveva pronunciato.
    Proteggere i cuccioli. Quella era una sensazione che poteva comprendere, in qualche modo: aveva provato qualcosa del genere durante l’ultima visita al Delfino. Quel bambino era così dolce e dolorosamente consapevole… In lei aveva sentito il disperato desiderio di guarirlo, di aiutarlo, sebbene sapesse che non era possibile. Cercò di concentrarsi sulla colazione, tuttavia, per non mostrare quei sentimenti nemmeno a sua madre.
    C’era una cosa che la spaventava molto, qualcosa che era molto peggio delle costrizioni imposte da un marito, dalla vita a corte per una dama o dalla terribile scomodità degli abiti di gala femminili: l’idea di essere costretta ad avere dei figli. In quanto moglie di un nobiluomo, avrebbe dovuto mettere al mondo almeno un erede che tramandasse il nome della famiglia e ricevesse il titolo dal padre.
    Come avrebbe potuto lei crescere dei bambini, lei che aveva maneggiato armi per tutta la vita? Sì che i nobili rampolli passavano dal grembo materno alla balia per finire agli istitutori – Oscar l’aveva provato sulla propria pelle – eppure il pensiero di essere madre la terrorizzava. Non lo desiderava, non vi aveva mai pensato prima che suo padre nominasse l’eventualità, né si sentiva capace. Nessun uomo, se l’avesse presa in moglie, avrebbe mai compreso questo disagio, Oscar ne era più che certa. A parte André, forse.
    André che indovinava i suoi stati d’animo meglio di lei stessa, André con il lembo strappato della sua camicia in mano che la fissava con uno sguardo che non aveva mai definito, André che veniva picchiato a sangue dai suoi compagni ma piangeva all’idea di perderla…
    Accantonò quel pensiero, sentendosi una volta di più impreparata a riflettere sul suo attendente di un tempo.
    «Tu che dici, Oscar, non sei d’accordo con tua sorella?», domandò gentilmente Marguerite, notando lo sguardo vacuo e perso in questioni lontane e a lei estranee.
    «Non credo di poter esprimere un’opinione a riguardo, non sono mai stata… Un canguro», sussurrò alla fine lei, senza riuscire a definirsi in altra maniera. Non era mai stata incinta. Non era madre. Cosa poteva dire sull’argomento? «Se dovessi scegliere un animale a cui paragonarmi, opterei per il leone del nostro casato, probabilmente».
    Il leone, simbolo di forza, animale prediletto dagli uomini per vantarsi dei propri meriti fisici davanti alle dame. Quanto era orgoglioso Rénier della fiera a due code sul loro stemma!
    In effetti, Oscar ricordava molto quella creatura, anche per via dei suoi lunghi capelli biondi, e se Marguerite avesse dovuto raffigurare la virtù della fortezza e del coraggio, avrebbe di certo pensato alla minore delle sue figlie. Eppure, in quel modo sentiva che la giovane donna avrebbe continuato a condurre un’esistenza di solitudine. Obbligarla a sposarsi non avrebbe risolto il problema, sapeva benissimo quanto l’etichetta e le consuetudini della loro classe sociale potessero soffocare una persona in un matrimonio non desiderato. Lei era stata fortunata, pensò una volta di più, eppure bastava pensare ai trascorsi della loro regina per capire quanto male potessero comportare delle nozze non volute con tutto ciò che comportavano.
    Solo, continuava a pensare che Oscar non sarebbe stata per sempre un soldato, sebbene fosse difficile immaginare per lei un’altra occupazione. Se solo avesse potuto comprendere i suoi desideri, forse sarebbe stata capace di consigliare a sua figlia un’altra vita…
    «Il leone, però, è ciò che mio padre ha voluto fare di me», disse proprio in quel momento la giovane, mentre soffiava sulla tazza di cioccolata bollente. «Ho accettato il mio destino molto tempo fa, ben prima di capire di non essere davvero un maschio, eppure mi chiedo cosa sarei diventata se non fosse stato scelto per me questo destino».
    Era strana, pensò, l’abitudine di parlare per metafore naturalistiche nella sua casa. Ricordava benissimo il discorso sui fiori di André, quella maledetta notte in cui tutto tra loro era cambiato, e la sua testardaggine a ricordarle che, anche se indossava un’uniforme e comandava un plotone di soldati, sarebbe sempre rimasta una donna. Ora sua madre aveva, non sapeva se volontariamente o no, iniziato una discussione zoologica che rischiava di finire sullo stesso argomento. La natura di certo l’aveva creata in modo che potesse diventare un canguro, ma lei aveva rifiutato quel destino e lo avrebbe fatto ancora, per tutta la vita. Non poteva scegliere il suo sesso né impedirsi di provare certe sensazioni, ma di certo non sarebbe mai diventata madre.
    «Ieri hai provato che non è più tuo padre a decidere cosa sarà di te, Oscar», commentò con dolcezza Marguerite. «Hai sentito che ciò che ti stava chiedendo era sbagliato per te e hai detto no. Domani potrai scegliere tu di cambiare, se lo riterrai opportuno, e diventare qualcos’altro. Non sarai un canguro, non necessariamente, ma magari una rondine… O un lupo, visto il tuo carattere forte».
    Animali fedeli, pensò la figlia, che sceglievano un compagno e rimanevano con lui per la vita.
    Forse ne sarebbe stata capace, un giorno. Era difficile da immaginare, ormai si era ricavata una routine ben marcata e in essa stava una sicurezza che le dava forza. Inoltre, l’unica volta in cui aveva scoperto dei sentimenti che avrebbero potuto comportare quel cambiamento profetizzato da sua madre, quelli l’avevano spinta verso l’uomo sbagliato, che involontariamente l’aveva fatta davvero soffrire. E sì che per attrarre il suo sguardo aveva apportato una trasformazione non da poco, per lei!
    No, se avesse deciso di mutare davvero nel modo di cui parlava sua madre… Beh, sarebbe stato per una persona che ne valesse la pena. Sempre che esistesse un tipo così: sebbene avesse passato la vita a comportarsi come un uomo, infatti, Oscar non aveva una grande opinione del genere maschile. Con quel pensiero in testa, decise che aveva tardato abbastanza e che era arrivato il momento di comparire in caserma. Non voleva che quelle teste calde dei suoi soldati si convincessero di avere mezza giornata di riposo per la sua assenza.
    Finì di gustare la cioccolata di Nanny quindi, dopo aver risistemato la tazza vuota sul suo piattino, si pulì le labbra con il tovagliolo e si alzò da tavola.
    «Vi ringrazio per la compagnia, madre, ma ora devo proprio tornare ai miei doveri. Vi auguro una buona giornata», salutò con cortesia prima di lasciare la stanza.
    Marguerite rimase lì seduta, in attesa che l’anziana governante di casa comparisse per riassettare e scambiare due chiacchiere anche con lei. Guardò la figlia allontanarsi con emozioni contrastanti: a volte si sentiva davvero abbattuta dal senso di colpa per non aver impedito a Rénier di plasmare in quel modo la loro ultimogenita, eppure, a pensarci bene, Oscar aveva più libertà rispetto a tutte le sorelle. Nessuna di loro avrebbe mai potuto ribellarsi al fidanzamento combinato dal padre, forse non avevano neanche mai immaginato di potersi esporre in quel modo, valutò la donna.
    Sposarsi e procreare eredi erano attività naturali e doverose per una donna nobile, che nella vita si apprestava a essere un canguro in tutto, pensò dando ancora un’occhiata alla lettera della figlia. Se, in un qualche modo contorto, la scelta operata da suo marito sull’educazione di Oscar aveva dato alla donna la possibilità di trovare da sola il suo destino, forse avrebbe dovuto rivedere la sua opinione in merito.

    ***


    Era passato qualche tempo dal colloquio con sua madre, pensò Oscar scendendo in cortile: era di nuovo a casa dopo un certo periodo passato in caserma, anche questa volta per un motivo sgradevole. Lei e André erano stati attaccati a Saint Antoine, la notte precedente, in un orrendo incubo. Non sapeva come altro definire ciò che era capitato loro, era accaduto tutto così in fretta che aveva impiegato un po’ a spiegare a un’angosciata Nanny cos’era successo.
    Qualche ora dopo aver saputo che Fersen era incolume, era stata presa da una strana frenesia che non era riuscita a controllare. Recuperare la sua arma preferita e scendere in cortile ad allenarsi le era sembrato il sistema migliore per non pensare a quanto era accaduto la notte precedente. Avrebbe voluto Alain di fronte a sé in quel momento, per un vero duello come quello che avevano già combattuto: lo avrebbe messo alle strette, carica e arrabbiata con se stessa come si sentiva.
    Aveva smesso di piovere, per fortuna, anche se l’aria era ancora carica dei profumi forti portati dall’acquazzone e mille goccioline facevano rilucere le grandi ortensie e gli altri fiori del giardino di sua madre… Eppure lei non vedeva tutto ciò: tirava di spada con rabbia, senza badare davvero a sferrare colpi precisi o calibrati.
    Era un modo per sfogarsi, pensò subito André vedendola in cortile. Decise di scendere per capire cosa le stava capitando: quando era passato per farle sapere che Fersen era rientrato sano e salvo, non gli era sembrata particolarmente turbata, eppure tutto si poteva dire di lei tranne che in quel momento fosse tranquilla. Uscì all’aperto e si fermò per un istante a osservarla: si muoveva con rapidità, nonostante il pantano in cui si stava esercitando, e sembrava che duellasse con un uomo invisibile, data la foga dei suoi colpi.
    «Oscar, dovresti riposare e recuperare le forze, se ti scopre mia nonna…»
    La presenza di André la colse di sorpresa, poiché non l’aveva sentito arrivare, tuttavia continuò a menare fendenti contro l’aria.
    «Non riesco a star ferma», si giustificò senza aggiungere altro. André le girò intorno andandosi a mettere qualche passo indietro rispetto al suo nemico immaginario, per guardarla meglio in viso: aveva ancora la fasciatura in testa e sembrava ancora provata, nonostante la lunga notte di sonno.
    «Non ti servirà a nulla stancarti in maniera così inutile», ribadì lui. «Eravamo in due contro una folla intera: anche se avessimo messo mano alle spade, ci avrebbero disarmato ridendo e non sarebbe cambiato niente».
    Fersen, però, li aveva salvati da solo. Era stato lui a impedire che il suo amico fosse impiccato, era solo merito suo. Una volta di più, Oscar si era scoperta debole, tradita dalle sue forze di donna, inerte. Era rimasta in quel vicolo ad aspettare finché la strada non era tornata silenziosa, quindi era uscita a cercare André. Il suo André.
    A parole, forse, ma non era riuscita a proteggerlo, come con il Cavaliere Nero. Aveva già perso un occhio per salvarla, cos’altro doveva capitargli ancora per colpa sua?
    Si credeva un leone, lei! Dopo l’accaduto, era evidente la realtà: era un gattino che tentava pateticamente di ruggire, altroché. Oscar strinse i denti. «Avrei dovuto evitare che accadesse. Il pericolo che ti ho fatto correre ieri notte…»
    «Non è stata colpa tua», la interruppe fermamente il soldato scuotendo la testa. «Siamo vivi, no? La prossima volta prenderemo una carrozza senza stemmi, più semplice, oppure andremo a cavallo. Non ti angustiare per questo. Piuttosto, cerca di riposare: i soldati della guardia non aspettano altro che il tuo ritorno».
    Sì, era facile immaginare per cosa la attendessero: quegli uomini ancora non volevano concederle un minimo di credito. Almeno Lazalle era uscito indenne dal tribunale militare… Ora che non la consideravano più così bieca da sbarazzarsi senza troppi problemi dei suoi sottoposti, forse le cose sarebbero migliorate almeno un poco.
    Cercando di apparire più serena, Oscar annuì e si fermò finalmente, cercando il fodero che aveva lanciato a qualche passo di distanza poco prima per mettere via la spada. «D’accordo, ma torna a letto anche tu, o in confronto a ciò che farà tua nonna, quelle della folla ti sembreranno carezze».
    L’espressione di André mutò di colpo, poi scoppiò a ridere con lei, colpito dal suo improvviso cambio d’umore. «Hai ragione: allora tutti e due a letto, forza!»
    Oscar s’irrigidì un attimo a quella frase, ma poi lasciò correre per paura che l’amico di sempre notasse il suo turbamento. Si era appena resa conto dei suoi sentimenti… Non era ancora pronta per mostrarli a qualcun altro: e se André non l’avesse amata ancora come le aveva giurato quella notte? Un rifiuto da parte sua probabilmente l’avrebbe uccisa.
    Mentre lo guardava camminare davanti a sé, però, Oscar si chiese se per lui non sarebbe stata disposta a fare quel cambiamento di cui aveva parlato con sua madre.
    Non un canguro, forse – anche se per qualche strano motivo sentiva che André sarebbe stato un ottimo padre – ma di certo un animale meno ostile.



     
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